Lo squalo in formaldeide, il calco in platino di un teschio tempestato da ottomila e passa purissimi diamanti, gli Spot Paintings e i Colour Space. Altro, molto altro – tra provocazioni e genialate «con i suoi lavori investiga e sfida le certezze del mondo contemporaneo, ed esamina tutte le incertezze insite nella natura dell’uomo», o almeno così dicono di lui. Artista globale ancor prima che contemporaneo, Damien Hirst è mania e ossessione, particolare e monumentale.
Alla Galleria Borghese di Roma fino al 7 novembre oltre 80 sue opere dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable sono esposte in tutte le sale del museo affiancando i capolavori antichi e comprendono sculture realizzate in materiali come bronzo, marmo di Carrara e malachite. Anche i Colour Space sono allestiti all’interno della collezione permanente sopra gli autoritratti del Bernini e accanto alle luci miracolose dei Caravaggio, mentre la scultura colossale, Hydra and Kali, è nello spazio esterno del Giardino Segreto dell’Uccelliera.
E se i ritrovamenti dal relitto dell’incredibile già lasciavano a bocca aperta sospesi in mezzo alla laguna a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana, qui non è ben chiaro se siano i bronzi di Hirst a esaltare i marmi bianchissimi del Canova o l’arte romana di qualche secolo prima di Cristo a celebrare l’ospite inatteso. Al pubblico piace parecchio, i biglietti vanno a ruba e Instagram pullula di foto filtrate, la critica apprezza senza gli scetticismi del primo Hirst e Prada, che tutto ha reso possibile grazie al «generoso supporto» ringrazia. Che sia la mostra del momento manco a dirlo, che sia da vedere pure. E anche subito.
di Redazione / JM AM
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