Da Breaking Bad, ovviamente. E Michael Desiato da Walter White. E Bryan Cranston da Bryan Cranston. Perché è qui che si gioca, è da qui che si parte ed è qui che inevitabilmente si arriva. Dal confronto, per un termine di paragone che vada oltre uno script e oltre un’interpretazione. E Your Honor regge il confronto, forse sorpassando a sinistra in una carreggiata stretta ma conosciuta. Senza rinunciare a banalità e compromessi, di casa anche in mezzo alla polvere di Albuquerque, accentratore per necessità ancor prima che per vocazione, Bryan Cranston sceglie di percorrerla in solitaria – ok, il figlio: ansima, rotola, piange. Liberata dalla coralità molesta di Breaking Bad, l’ambiguità morale di colui che di mestiere giudica imputati e non più studenti di periferia si perde tra le rughe ancor più profonde di un attore immaginifico che grazie a Dio riesce ancora a scegliere i propri personaggi migliorandoli dalla carta alla scena: i cambi di registro e lo sviluppo del personaggio, la voce sussurrata e la voce urlata, senza la voglia di protagonismo del say my name di Heisenberg ma con il gioco oscuro del giudice Desiato. Mancano la polvere e il sole cocente del deserto a New Orleans, i colori e le atmosfere calde lasciano il passo al freddo chiaro delle tombe bianche e al freddo scuro delle notti sul Mississippi, la violenza grezza dei cartelli a quella calcolatrice della mafia italoamericana.
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