Hanno vinto le grandi case di produzione americane, le piattaforme di streaming, qualche produzione indipendente, film che poi avrebbero dominato agli Oscar, film che sarebbero passati inosservati nelle sale, che ricordiamo negli anni e che abbiamo dimenticato la mattina dopo la premiazione oppure già sull’ultimo vaporetto: negli ultimi anni il Leone d’oro ha preso strade diverse e spesso lontane – da tutto, dai gusti di pubblico e critica ma non solo. Lav Diaz e il suo The Woman Who Left la spuntarono su La La Land, Audrey Diwan su Sorrentino l’anno scorso, Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro con i loro film migliori rispettarono i pronostici, Roy Andersson e Lorenzo Vigas invece sorpresero tutti con il più classico del cinema d’autore.
Quest’anno è l’anno della bellezza. Del film più bello che vince a volte non spesso forse quasi mai. All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras è la storia dell’artista e attivista Nan Goldin, della sua arte applicata all’attivismo politico, della sua battaglia per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da ossicodone. La quota documentario che documentario non sembra che vince come ai tempi di Rosi, la quota film necessario se mai quest’espressione avesse un senso. Tre decenni di storia (dell’arte) americana che partono dalla Ballad of Sexual Dependency e arrivano ai giorni nostri ai processi alle condanne alle lacrime. Cinema puro. Per chi scrive il Leone d’oro più bello degli ultimi anni.
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