Perché non è solo un altro Diabolik

É il cinema dei Manetti, bellezze.

Manca di coraggio, può essere; manca di visione, direi di no; manca di coerenza, falso. La coerenza di una vita, di una carriera tra cinema e televisione e videoclip e produzioni varie, i fratelli l’hanno consacrata sull’altare dello stile (il loro) e scolpita nella cellulosa, si fa per dire, delle pellicole (le loro). Fedele alle strisce delle sorelle Giussani, il Diabolik che ne esce fuori è in pieno stile Mainetti e basterebbe (ri)conoscere le mani che hanno ridefinito i contorni del cinema italiano di genere parecchio prima del Jeegrobotdimainetti per rendersene conto nonostante qui l’eleganza stilizzata dei personaggi e le luci di una Clerville brutalista abbiano rubato la scena alle atmosfere vivaci delle precedenti esperienze manettiane. Nota di merito per la direzione degli attori, credibile e sofisticata mano (mani, quattro) alle prese con protagonisti perfetti per le parti: Miriam Leone c’è nata, Marinelli pure, d’accordo, ma tant’è.



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