La serie, dico. E dico la serie perché il libro, la tetralogia, è, sì, davvero geniale. La serie meno, ed è anche normale. È un adattamento, quello di Saverio Costanzo, che per quanto possibile ci avvicina ma rimane un passo indietro, sfiora ma non abbraccia del tutto la grandiosità delle parole scritte da Elena Ferrante. Della vecchia litania su quanto i film non siano mai eccetera eccetera non parlo, ma le immagini – spesso delicate e intime quando non suggestive e potenti – si fermano al di qua del confine – quello invalicabile che separa immagini e suoni dalla (occhio, figurazione forte e vagamente retorica) energia della fantasia applicata alla parola. Che poi si potrebbe anche semplificare nel meno lirico: è che è troppo bello il libro, punto esclamativo. Il peccato più evidente di Costanzo, Piccolo e compagnia è quello di aver rinchiuso (leggasi soffocato) l’universo mondo Ferrante in un rione dai colori spenti e bidimensionale in cui gli attori (bravissimi, loro, e non era scontato) tentano di ribellarsi all’impostazione teatrale – perfetta nel quasi perfetto In Treatment, adattamento sì ma da altre immagini -, di cui Costanzo è tanto maestro quanto succube, non sempre riuscendoci. Della voce fuori campo della Rohrwacher piccola abbiamo già detto: rimane inascoltabile anche in questa seconda stagione; della grande, Alice, che dirige il quarto e quinto episodio, diremo dopo averli visti.
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